Tra un po’ è Natale e può darsi che qualcuno pensi di
regalare “Il piccolo principe” ad un ragazzino.
So che quel che sto per dire urterà la sensibilità di molti,
ma prima di regalarlo sarebbe opportuna almeno una riflessione.
È opportuno tener conto di quel che il serpente dice al
piccolo principe:
"Colui che tocco, lo
restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una
stella..."
Il piccolo principe non
rispose.
Mi fai pena, tu così
debole, su questa Terra di granito. Potrò aiutarti un giorno se rimpiangerai
troppo il tuo pianeta. Posso..."
"Oh! Ho capito
benissimo", disse il piccolo principe, "ma perché parli sempre per
enigmi?"
"Li risolvo tutti",
disse il serpente.
E rimasero in silenzio.
Possono esserci dubbi su quel che sta proponendo?
Ma anche volendo non capire, alla fine Saint Exupéry racconta:
[…] vidi da lontano
il mio piccolo principe che era seduto là sopra, le gambe penzoloni. Lo udii
che parlava.
[…]Ero a venti
metri dal muro e non vedevo ancora nulla.
Il piccolo principe
disse ancora, dopo un silenzio: "Hai del buon veleno? Sei sicuro di non
farmi soffrire troppo tempo?" Mi
arrestai, il cuore stretto, ma ancora non capivo.
[…]C'era là,
drizzato verso il piccolo principe, uno di quei serpenti gialli che ti uccidono
in trenta secondi.
Pur frugando in
tasca per prendere il revolver, mi misi a correre, ma al rumore che feci, il
serpente si lasciò scivolare dolcemente nella sabbia, come un getto d'acqua che
muore, e senza troppo affrettarsi si infilò tra le pietre con un leggero rumore
metallico.
Arrivai davanti al
muro giusto in tempo per ricevere fra le braccia il mio ometto, pallido come la
neve.
[…]"Ometto caro,
hai avuto paura..."
Aveva avuto
sicuramente paura! Ma rise con dolcezza: "Avrò ben più paura questa
sera..." Mi sentii gelare di nuovo per il sentimento dell'irreparabile.
[…]
E rise ancora. Poi
ridivenne serio. "Questa notte... sai, non venire".
"Non ti
lascerò".
"Sembrerà che io mi
senta male... sembrerà un po’ che io muoia. È così. Non venire a vedere, non
vale la pena..."
"Non ti
lascerò".
Ma era preoccupato.
"Ti dico questo... Anche per il serpente. Non bisogna che ti morda... I
serpenti sono cattivi. Ti può mordere per il piacere di..."
"Non ti
lascerò".
Ma qualcosa lo
rassicurò: "È vero che non hanno più veleno per il secondo morso..."
Quella notte non lo
vidi mettersi in cammino.
Si era dileguato
senza far rumore. Quando riuscii a raggiungerlo camminava deciso, con un passo
rapido.
Mi disse solamente:
"Ah! Sei qui..." E mi prese per mano.
Ma ancora si
tormentava: "Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà
vero..."
Io stavo zitto.
"Capisci? È
troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. È troppo
pesante".
Io stavo zitto.
"Ma sarà come
una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze..."
Io stavo zitto.
[…]
Disse:
"Ecco... è questo qui..."
Esitò ancora un
poco, poi si rialzò. Fece un passo. Io non potevo muovermi.
Non ci fu che un
guizzo giallo vicino alla sua caviglia.
Rimase immobile per
un istante.
Non gridò. Cadde
dolcemente come cade un albero.
Non fece neppure
rumore sulla sabbia.
[…]
Come si può equivocare quel che accade? Come ci possono
essere dubbi sulla scelta del Piccolo principe?
So che si usa regalare questo libro in occasione di
comunioni cresime, che ci sono insegnanti che insistono perché venga letto, in
particolare dai nove ai tredici anni.
Mi domando quanto sia opportuno.
Anch’io vedo l’incanto, lo struggimento, la tenerezza,
l’amore,
"Quando tu guarderai il
cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in
una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu
solo, delle stelle che sanno ridere!" E rise ancora
"E quando ti sarai consolato
(ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il
mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così,
per il piacere... E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il
cielo. Allora tu dirai: "Si, le stelle mi fanno sempre ridere!" e ti
crederanno pazzo. "T'avrò fatto un brutto scherzo..." E rise ancora.
"Sarà come se t'avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che
sanno ridere..."
Anch’io se guardo le stelle risento una voce che una sera
ridendo mi disse “Vieni! guarda il cielo!”. Anch’io avverto la meraviglia del
tornare alla stella.
Ma di fatto, per tornare alla stella, il piccolo principe si
uccide!
“Non posso portare
appresso il mio corpo. È troppo pesante”.
La fine dell’infanzia, la pubertà, l’adolescenza sono tempi
di grandi turbamenti.
Il corpo va avanti per conto suo, irriconoscibile e sproporzionato.
L’anoressia e la bulimia sono un rifiuto di quel corpo. Inadeguati ci si
assoggetta alle regole, scegliendo come modelli veline e tronisti o gli eccessi
degli emo, dei punk, dei metal che tanto somigliano a “Dognipelo” e “Pelle
d’asino”.
Si va avanti tra tentativi di uniformarsi e ribellione, scatti
e chiusure, con la disperazione di
sentirsi soli, come Saint Exupéry quando mostra il disegno del boa che ha
divorato l’elefante, ci si sente inesorabilmente rispondere “è un cappello”.
Mi domando: in quei momenti quanto è
opportuno il racconto di un suicidio?
C’è un piccolo principe , c’è un bambino in ognuno di noi.
È quella parte di noi che ha negli occhi la meraviglia,
scopre, crea, inventa. È l’eroe che può accedere all'acqua della vita, alla forza
del nuovo. È poesia!
La bambina de “La pappa dolce” è un piccolo principe che
chiede e ottiene di che nutrirsi.
La principessina della versione originale de “Il principe ranocchio”, non quella della versione addomesticata del bacio, ma quella
autentica, quella che: andò in collera, lo prese e lo
gettò con tutte le sue forze contro la parete: “Adesso starai zitto, brutto
ranocchio!"è un piccolo principe che sa sottrarsi alle imposizioni della
società, del “come si deve”, del “ciò che è corretto”.
Alessandro Magno è un piccolo principe che spazientito dal nodo di Gordio che non riesce a districare,
infischiandosene di regole e tradizioni lo trancia con la spada.
Ma il piccolo principe è anche colui a cui il serpente offre
la morte dicendo:“Mi fai pena, tu così debole, su
questa Terra di granito.”
Marie Louise Von Franz dedica al racconto di Saint Exupéry più di metà di “L’Eterno Fanciullo”, un libro che permette di scoprire qualcosa di importante per noi nella bellezza e nei capricci della rosa, negli insegnamenti della volpe, nella scelta del piccolo principe.
Leggendolo, i baobab, la pecora, il
pigro che trascurava gli arbusti, mostrano qualcosa che ci riguarda.
Nel disegno del boa che ha ingoiato l'elefante, nei tanti tramonti, nel vulcano spento che il piccolo principe tiene pulito, Marie Louise Von Franz mostra qualcosa che accade a chi, eterno fanciullo, tra sogni e scontento non s'accorge di rinsecchire come un bocciolo destinato a non fiorire mai.
Anche nel “Puer Aeternus” di Hillman c'è qualcosa di nostro da scoprire.
Hillman comincia duramente:
C’è una storiella ebraica, una
delle solite barzellette degli ebrei sugli ebrei, che dice:
Un padre, volendo insegnare al figlio a essere meno pauroso, ad avere più
coraggio, lo fa saltare dai gradini di una scala. Lo mette in piedi sul secondo
gradino e gli dice: “ Salta che ti prendo”. Il bambino salta. Poi lo piazza sul
terzo gradino, dicendo: Salta che ti prendo”. Il bambino ha paura ma, poiché si
fida del padre, fa come questo gli dice e salta tra le sue braccia. Quindi il padre lo sistema sul quarto
gradino, e poi sul quinto, dicendo ogni volta: “Salta che ti prendo” e ogni
volta il bambino salta e il padre lo afferra prontamente. Continuano così per
un po’. A un certo punto il bambino è su un gradino molto in alto, ma salta
ugualmente, come in precedenza; questa volta però il padre si tira indietro, e
il bambino cade lungo e disteso. Mentre tutto sanguinante e piangente si
rimette in piedi, il padre gli dice: “Così impari: mai fidarti di un ebreo,
neanche se è tuo padre”.
Il bambino rialzandosi ha di
fronte due strade: di solito s'intraprende la prima, la strada della vendetta,
della negazione del valore dell’altro, del cinismo, del tradimento di sé.
E in quella si trova la fine.
[…]il cinismo è quel ghigno
contro la nostra stella, è un tradimento dei nostri stessi ideali
[…]il tradimento di sé è forse l’esito
più preoccupante […]
La lettera d’amore
diventa una sbrodolata sentimentale, e la poesia, la paura, il sogno,
l’ambizione si riducono tutti a cose ridicole, da sbeffeggiare sguaiatamente,
da spiegare con linguaggio da caserma come merda, boiate.
Il processo alchemico
è rovesciato: l’oro riconvertito in feci, le nostre perle gettate ai porci.
Solo che i porci non sono gli altri […].
I porci sono la suina ottusità con cui
ripetiamo che le cose più belle erano in realtà le più brutte, la melma in cui gettiamo
i nostri valori preziosi.
Ma c’è una seconda strada, quella del “sale dell’amarezza
trasformato nel sale della saggezza”.
“Il Piccolo principe” di Saint
Exupéry è meraviglioso. Come si fa a non amarlo?
Proprio sentendone l'incanto, proprio perché ciò che ha incanto ha un impatto profondo: come non rendersi conto di quanto possa essere pericoloso farlo leggere ad un ragazzino?!
Perché piuttosto non leggerlo da adulto, consapevolmente?
E perché da adulto anziché sentirsi "così debole, su questa Terra di granito", non intraprendere la strada del "sale dell'amarezza trasformato nel sale della saggezza"?