200 anni fa usciva la prima raccolta di fiabe dei fratelli Grimm


Esattamente 200 anni fa usciva la prima raccolta di fiabe dei fratelli Grimm.
Non ve ne frega niente vero?

Chi sa che tengo un blog dedicato alle fiabe mi chiede “Cosa lo fai a fare?”
Chi mi conosce come docente d'informatica non capisce questa stramberia. Chi mi conosce per via delle ricette preferirebbe mi dedicassi di più a quelle. 

E chi capita qui alla ricerca di qualcosa per i bambini, rimane perplesso. Ma come? etica una fiaba come "le tre filatrici" e pericolose quelle di Andersen?

Più di una persona si vanta : "Non c'è pericolo, io a mio figlio non le ho mai raccontate. Anzi non le conosco nemmeno!"

Ma avete idea di cosa significhi?
Avete idea di cosa c’è nelle fiabe?!
Avete idea del danno che vien fatto alterando le fiabe? addolcendole? trasformandole in stupidaggini?

Possibile che non ci si renda conto di quanto siano importanti!

Ma non quelle sdolcinate, quelle sono allo stesso livello di un programma tv con storielle d'amore da poco.

Nelle fiabe c'è qualcosa che ha passato i secoli, i millenni. Conoscenze, saggezza, ma non di tipo superficiale, non banalità, non perbenismo.

Sto cercando in tutti i modi di parlarne, perché il rischio di perdere le fiabe adesso c'è
C'è perché nessuno sa cosa sono, nessuno s'interessa, nessuno ci fa caso.







Il piccolo principe... è opportuno farlo leggere ad un ragazzino?


Tra un po’ è Natale e può darsi che qualcuno pensi di regalare “Il piccolo principe” ad un ragazzino.
So che quel che sto per dire urterà la sensibilità di molti, ma prima di regalarlo sarebbe opportuna almeno una riflessione.

È opportuno tener conto di quel che il serpente dice al piccolo principe:
"Colui che tocco, lo restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella..."
Il piccolo principe non rispose.
Mi fai pena, tu così debole, su questa Terra di granito. Potrò aiutarti un giorno se rimpiangerai troppo il tuo pianeta. Posso..."
"Oh! Ho capito benissimo", disse il piccolo principe, "ma perché parli sempre per enigmi?"
"Li risolvo tutti", disse il serpente.
E rimasero in silenzio.
Possono esserci dubbi su quel che sta proponendo?

Ma anche volendo non capire, alla fine Saint Exupéry racconta:
[…] vidi da lontano il mio piccolo principe che era seduto là sopra, le gambe penzoloni. Lo udii che parlava.
[…]Ero a venti metri dal muro e non vedevo ancora nulla.
Il piccolo principe disse ancora, dopo un silenzio: "Hai del buon veleno? Sei sicuro di non farmi soffrire troppo tempo?"  Mi arrestai, il cuore stretto, ma ancora non capivo.
[…]C'era là, drizzato verso il piccolo principe, uno di quei serpenti gialli che ti uccidono in trenta secondi.
Pur frugando in tasca per prendere il revolver, mi misi a correre, ma al rumore che feci, il serpente si lasciò scivolare dolcemente nella sabbia, come un getto d'acqua che muore, e senza troppo affrettarsi si infilò tra le pietre con un leggero rumore metallico.
Arrivai davanti al muro giusto in tempo per ricevere fra le braccia il mio ometto, pallido come la neve.
[…]"Ometto caro, hai avuto paura..."
Aveva avuto sicuramente paura! Ma rise con dolcezza: "Avrò ben più paura questa sera..." Mi sentii gelare di nuovo per il sentimento dell'irreparabile.
[…]
E rise ancora. Poi ridivenne serio. "Questa notte... sai, non venire".
"Non ti lascerò".
"Sembrerà che io mi senta male... sembrerà un po’ che io muoia. È così. Non venire a vedere, non vale la pena..."
"Non ti lascerò".
Ma era preoccupato. "Ti dico questo... Anche per il serpente. Non bisogna che ti morda... I serpenti sono cattivi. Ti può mordere per il piacere di..."
"Non ti lascerò".
Ma qualcosa lo rassicurò: "È vero che non hanno più veleno per il secondo morso..."
Quella notte non lo vidi mettersi in cammino.
Si era dileguato senza far rumore. Quando riuscii a raggiungerlo camminava deciso, con un passo rapido.
Mi disse solamente: "Ah! Sei qui..." E mi prese per mano.
Ma ancora si tormentava: "Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero..."
Io stavo zitto.
"Capisci? È troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. È troppo pesante".
Io stavo zitto.
"Ma sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze..."
Io stavo zitto.
[…]
Disse: "Ecco... è questo qui..."
Esitò ancora un poco, poi si rialzò. Fece un passo. Io non potevo muovermi.
Non ci fu che un guizzo giallo vicino alla sua caviglia.
Rimase immobile per un istante.
Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero.
Non fece neppure rumore sulla sabbia.
[…]
Come si può equivocare quel che accade? Come ci possono essere dubbi sulla scelta del Piccolo principe?

So che si usa regalare questo libro in occasione di comunioni cresime, che ci sono insegnanti che insistono perché venga letto, in particolare dai nove ai tredici anni.
Mi domando quanto sia opportuno.

Anch’io vedo l’incanto, lo struggimento, la tenerezza, l’amore,
"Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!" E rise ancora
"E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere... E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: "Si, le stelle mi fanno sempre ridere!" e ti crederanno pazzo. "T'avrò fatto un brutto scherzo..." E rise ancora. "Sarà come se t'avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere..."
Anch’io se guardo le stelle risento una voce che una sera ridendo mi disse “Vieni! guarda il cielo!”. Anch’io avverto la meraviglia del tornare alla stella.

Ma di fatto, per tornare alla stella, il piccolo principe si uccide!
“Non posso portare appresso il mio corpo. È troppo pesante”.

La fine dell’infanzia, la pubertà, l’adolescenza sono tempi di grandi turbamenti.
Il corpo va avanti per conto suo, irriconoscibile e sproporzionato. L’anoressia e la bulimia sono un rifiuto di quel corpo. Inadeguati ci si assoggetta alle regole, scegliendo come modelli veline e tronisti o gli eccessi degli emo, dei punk, dei metal che tanto somigliano a “Dognipelo” e “Pelle d’asino”.
Si va avanti tra tentativi di uniformarsi e ribellione, scatti e chiusure, con la disperazione di sentirsi soli, come Saint Exupéry quando mostra il disegno del boa che ha divorato l’elefante, ci si sente inesorabilmente rispondere “è un cappello”.
Mi domando: in quei momenti quanto è opportuno il racconto di un suicidio?

C’è un piccolo principe , c’è un bambino in ognuno di noi.

È quella parte di noi che ha negli occhi la meraviglia, scopre, crea, inventa. È l’eroe che può accedere all'acqua della vita, alla forza del nuovo. È poesia!

La bambina de “La pappa dolce è un piccolo principe che chiede e ottiene di che nutrirsi.
La principessina della versione originale de Il principe ranocchio,  non quella della versione addomesticata del bacio, ma quella autentica, quella che: andò in collera, lo prese e lo gettò con tutte le sue forze contro la parete: “Adesso starai zitto, brutto ranocchio!"è un piccolo principe che sa sottrarsi alle imposizioni della società, del “come si deve”, del “ciò che è corretto”.
Alessandro Magno è un piccolo principe che spazientito dal nodo di Gordio che non riesce a districare, infischiandosene di regole e tradizioni lo trancia con la spada.

Ma il piccolo principe è anche colui a cui il serpente offre la morte dicendo:“Mi fai pena, tu così debole, su questa Terra di granito.”

Marie Louise Von Franz dedica al racconto di Saint Exupéry più di metà di “L’Eterno Fanciullo”, un libro che permette di scoprire qualcosa di importante per noi nella bellezza e nei capricci della rosa, negli insegnamenti della volpe, nella scelta del piccolo principe.

Leggendolo, i baobab, la pecora, il pigro che trascurava gli arbusti, mostrano qualcosa che ci riguarda.

Nel disegno del boa che ha ingoiato l'elefante, nei tanti tramonti, nel vulcano spento che il piccolo principe tiene pulito, Marie Louise Von Franz mostra qualcosa che accade a chi, eterno fanciullo, tra sogni e scontento non s'accorge di rinsecchire come un bocciolo destinato a non fiorire mai.


Anche nel “Puer Aeternus” di  Hillman c'è qualcosa di nostro da scoprire.
Hillman comincia duramente:

C’è una storiella ebraica, una delle solite barzellette degli ebrei sugli ebrei, che dice:
Un padre, volendo insegnare al figlio a essere meno pauroso, ad avere più coraggio, lo fa saltare dai gradini di una scala. Lo mette in piedi sul secondo gradino e gli dice: “ Salta che ti prendo”. Il bambino salta. Poi lo piazza sul terzo gradino, dicendo: Salta che ti prendo”. Il bambino ha paura ma, poiché si fida del padre, fa come questo gli dice e salta tra le sue braccia.  Quindi il padre lo sistema sul quarto gradino, e poi sul quinto, dicendo ogni volta: “Salta che ti prendo” e ogni volta il bambino salta e il padre lo afferra prontamente. Continuano così per un po’. A un certo punto il bambino è su un gradino molto in alto, ma salta ugualmente, come in precedenza; questa volta però il padre si tira indietro, e il bambino cade lungo e disteso. Mentre tutto sanguinante e piangente si rimette in piedi, il padre gli dice: “Così impari: mai fidarti di un ebreo, neanche se è tuo padre”.

Il bambino rialzandosi ha di fronte due strade: di solito s'intraprende la prima, la strada della vendetta, della negazione del valore dell’altro, del cinismo, del tradimento di sé. 
E in quella si trova la fine.
[…]il cinismo è quel ghigno contro la nostra stella, è un tradimento dei nostri stessi ideali
[…]il tradimento di sé è forse l’esito più preoccupante […]  
La lettera d’amore diventa una sbrodolata sentimentale, e la poesia, la paura, il sogno, l’ambizione si riducono tutti a cose ridicole, da sbeffeggiare sguaiatamente, da spiegare con linguaggio da caserma come merda, boiate. 
Il processo alchemico è rovesciato: l’oro riconvertito in feci, le nostre perle gettate ai porci. 
Solo che i porci non sono gli altri […]. 
I porci sono la suina ottusità con cui ripetiamo che le cose più belle erano in realtà le più brutte, la melma in cui gettiamo i nostri valori preziosi.

Ma c’è una seconda strada, quella del “sale dell’amarezza trasformato nel sale della saggezza”.


“Il Piccolo principe” di Saint Exupéry è meraviglioso. Come si fa a non amarlo? 

Proprio sentendone l'incanto, proprio perché ciò che ha incanto ha un impatto profondo: come non rendersi conto di quanto possa essere pericoloso farlo leggere ad un ragazzino?!

Perché piuttosto non leggerlo da adulto, consapevolmente?
E perché da adulto anziché sentirsi "così debole, su questa Terra di granito", non intraprendere la strada del "sale dell'amarezza trasformato nel sale della saggezza"?


Perché NON racconterei MAI ad un bambino "Il Soldatino di Piombo" di Andersen

Non riporto nel blog il testo della fiaba “Il Soldatino di Piombo” perché non vorrei venisse semplicemente trovata e raccontata.

È una fiaba con giocattoli e avventure che sembrano corse al luna park, che attira in un mondo grazioso, però poi all’improvviso mostra la visione cruda dell’annientamento. Soldatino e ballerina finiscono bruciati, tra la cenere di loro resta solo un grumo di piombo ed un lustrino annerito. Solo materia.

La storia è raccontata in termini di fenomeni naturali: colpi di vento, combinazioni, capricci. Niente fate o omini misteriosi, niente leprotti marini o chissà quali animali sorprendenti, niente pentolini o altri oggetti magici. Viene considerato solo ciò che è materialmente tangibile, la fiaba vuol essere razionale, nulla di fatato, la realtà è quella che è e se non ci sono vie d’uscita non ci sono concessioni al prodigioso.

Ma la pretesa di razionalità è sbilanciata e imparziale,  non è ammesso il soprannaturale amico, ma quello cattivo sì.
La fiaba insinua il sospetto di una regia occulta, di una volontà potente e malvagia alla guida del caso. Insiste che le disgrazie del soldatino siano volute dal troll, un giocattolo a molla che sta nella tabacchiera.
La prima notte, vedendo il soldatino guardare la ballerina, il troll dice: “Smettila di guardare gli altri!” poi “Aspetta domani e vedrai!”.
L’indomani, quando il soldatino cade dalla finestra, la fiaba commenta: “non so se fu il troll o una folata di vento”.
Il soldatino trascinato dall’acqua pensa: "Sì, tutta colpa del troll!”.
E alla fine la fiaba dice che un bambino getta nel fuoco il soldatino proprio senza alcun motivo, sicuramente era colpa del troll della tabacchiera”.

Razionalmente nulla prova che il troll influenzi gli eventi, potrebbe trattarsi solo di suggestione, ma la fiaba non se ne accorge.
Con la pretesa della razionalità la fiaba apre una breccia in cui deposita l’idea dell’occulto insensato, inesorabile, malvagio.

Le fiabe di Andersen e le fiabe della tradizione popolare

È strano che le fiabe di Andersen vengano assimilate a quelle della tradizione popolare. 

Le fiabe della tradizione popolare
tramandate oralmente nell’area germanica e francese, furono oggetto dell’imponente lavoro di ricerca e trascrizione svolto dai fratelli Grimm nei primi decenni dell’ottocento. Lo stesso lavoro fu poi portato aventi da Afanasyev per la Russia e successivamente da Calvino per l’Italia. 
Si tratta di racconti che hanno superato censure di secoli se non millenni, nascondendo tra le loro assurdità istruzioni per superare l’impossibile
Le fiabe di Andersen sono nate in un preciso momento storico ed a quello sono legate.

Andersen pubblicò “Il soldatino di piombo” nel 1838, la pubblicazione delle sue fiabe, indubbiamente bellissime e frutto della sua grande sensibilità, va dal 1835 al 1872.
Un periodo che, probabilmente a causa del romanticismo che lo permeava, è entrato a far parte di un immaginario fatto di donne che preparavano cose buone tra il profumo della lavanda e delle mele cotogne e di bambini con giocattoli di legno costruiti dai papà,

In realtà a quei tempi 13 -15 ore di lavoro alla catena di montaggio erano la norma anche per donne e bambini a partire dai sei anni, se non dai quattro.

Per l'Europa erano anni di sommosse e repressioni.
Il 1815 aveva visto la sconfitta di Napoleone, il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni.
Erano tempi di carestie con la gente che emigrava in massa in America.
Dal 1848 al 1855 la California visse la febbre dell’oro.
Dal 1845 al 1849 l’Irlanda fu ridotta alla disperazione dalla moria delle patate.
Il 1816 fu “l’anno senza estate” detto anche “della miseria”,
nel nord dell’Europa e dell’America continuò ad esserci ghiaccio e cadere neve anche da maggio ad agosto e non ci furono raccolti.
In vacanza in Svizzera, costretti al chiuso dal maltempo in quell'estate che non c'era, Lord Byron e i suoi amici organizzarono una gara di racconti dell’orrore e fu così che John Polidori scrisse Il vampiro mentre Mary Shelley, impressionata le teorie di Darwin, scrisse Frankenstein.
Il 1816 fu anche l’anno in cui morì il padre di Andersen.
Era tornato malato dall’esercito di Napoleone.
L’uniforme rossa e blu tanto importante per il soldatino, mi fa pensare quanto
è risaputo, Napoleone ci tenesse all’equipaggiamento e all’eleganza dei suoi uomini e quanto loro ne andassero fieri.
Le fiabe di Andersen sono figlie di quei tempi, tempi di romanticismo, romanzi gotici, teorie evoluzionistiche, razionalismo, materialismo. A quelli appartengono.

Il troll, il bullismo

Anticamente, come ancor oggi, nelle società tribali per entrare a far parte del mondo degli adulti i ragazzi venivano sottoposti ad iniziazioni.
Sciamani, mascherati orribilmente, costringevano i giovani ad aver paura e trovare in sé la forza di superarla.

Alcuni racconti della tradizione africana che si concludono con la morte, riecheggiano iniziazioni non riuscite. Il soldatino di piombo, come altre fiabe di Andersen, di fatto parlano di iniziazioni finite male.

Nel bullismo in qualche modo ritornano aspetti dei riti d’iniziazione. Le frasi dette dal troll,  “Smettila di guardare gli altri!”,“Aspetta domani e vedrai!”somigliano alle minacce di un bullo “cos’hai da guardare!” “poi vedi, ti aspetto fuori!”.

Le fiabe della tradizione popolare in cui il giovane eroe affronta un nemico invincibile, raccontano iniziazioni riuscite.
Raccontano di chi pur non avendo alcuna possibilità, nemici potenti, temibili, vince un drago che ha già ucciso tutti coloro che hanno osato a sfidarlo, una strega che immobilizza chiunque osi avvicinarla, o perfino il diavolo.
E non si limitano a dire che vince, dicono anche come.
Con un linguaggio lontano dalla realtà, nascondono indicazioni preziose e profonde, paiono irrazionali ma in questo sta il loro valore, perché se ci si ferma alla razionalità, vince chi sa farsi valere, chi è più abile, più forte, più intelligente, ovvero vince il bullo oppure chi potrebbe esserlo ma essendo buono e giusto sceglie di comportarsi magnanimamente.
Se poi si pretende che la vittoria derivi dalla forza morale, ci si caccia in trappola perché perdere finisce per essere prova di scarso valore morale individuale e si sprofonda nei sensi di colpa.

Le fiabe classiche raccontano di chi non sa farsi valere, di chi sbaglia, non sa cosa fare, non è capace, non è all'altezza di ciò che gli vien chiesto.
Ovvero di chi non potrebbe essere né un bullo, né un capione di alcun tipo, di chi non viene neanche preso in considerazione o viene preso in giro.
Dicono che proprio lui vince.
Come? A volte slealmente, a volte perché per caso capita al momento giusto, a volte grazie all'aiuto di qualcuno e a volte quel qualcuno a volte è proprio dalla principessa per cui sta affrontando la sfida. Sono indicazioni concrete anche se paiono assurde.
Più una fiaba suona insensata, più l'indicazione che nasconde è preziosa. La fiaba suona insensata perché non rientra negli schemi , l'indicazione nascosta è più facile che venga colta da un bambino la cui forma mentale non è ancora irrigidita dal razionalizzare a tutti i costi.

Bambino o adulto chi ascolta un racconto si immedesima col protagonista, vederlo trionfare dà forza mentre vederlo sconfiggere indebolisce.
Se per tutto il racconto il protagonista subisce senza mai osare far fronte al nemico chi ascolta si ritrova ad immedesimarsi in un modello di estrema debolezza, passivo e pusillanime. 
Il soldatino di piombo non affronta neanche un giocattolo a molla.
Quanto è sano far immedesimare un bambino in un simile modello?

L’invidia degli Dei

Il senso d’impotenza di fronte al caso non aiuta a vivere, né aiuta il pessimismo, perché allora è così radicata la tendenza a pensare al peggio?

Tendenza che talvolta nasconde una forma di scaramanzia, quasi che pensando al peggio lo si scongiuri e con persino una specie di timore d’essere troppo felici.
Timore in cui riecheggia l’idea dell’”invidia degli dei”, idea greca ma non solo le mitologie di tutti i popoli raccontano di dei che infieriscono su umani colpevoli d’essere felici.

Perché questa idea comune ai vari popoli?
Secondo alcuni traduttori la parola che dal greco antico viene tradotta “invidia” andrebbe tradotta “divieto”
Divieto degli dei , divieto per gli uomini di sentirsi eccessivamente appagati dalle proprie doti o  capacità sia innate che conquistate, di compiacersi troppo dei trionfi e persino degli affetti.

Cosa può significare un simile divieto?
"Perché infierire su chi è soddisfatto, contento di sé, su chi sente di avercela fatta?" chiedendomelo mi son ritrovata con una nuova domanda: "Coloro che gli dei punivano erano felici?" e la prospettiva è cambiata.
Stando ai miti, in costoro c'è orgoglio, fierezza, autocompiacimento, esaltazione, ma non felicità, intesa come gioia vera, pienezza dell'essere.
Quindi nei miti l'ira divina si scatena su uomini e donne che si abbandonano paghi di ciò che è effimero e come bloccati in un incantesimo non vanno oltre.
Nessuna "invidia", nessun "divieto" alla felicità quindi.
Piuttosto un divieto al dare troppa importanza a ciò che non ne ha e che la vita toglierà comunque.
E uno sprone alla gioia vera, alla pienezza dell'essere.

Immobile in silenzio

Sempre nello svolgersi della fiaba, il soldatino di piombo sta rigido e in silenzio. E sempre è attento a comportarsi in maniera adeguata.
  • Nella magia della notte quando i giocattoli prendono vita, lui resta immobile.
  • Finge di non sentire il troll che gli si rivolge minaccioso.
  • Quando la fiaba dice che urlando potrebbe farsi trovare “pensò che non fosse bene gridare a voce alta perché era in uniforme”.
  • Trascinato dalla corrente “tenace com'era, non batté ciglio, guardò sempre davanti a sé e tenne il fucile sotto il braccio”.
  • Precipitando ”Si irrigidì più che poté, perché nessuno potesse dire che aveva avuto paura”.
  • Una volta in salvo rivedendo la ballerina ”stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva”.
L’irrigidirsi, il non parlare, il timore di fare qualcosa di inopportuno, sono atteggiamenti che espongono al rischio di divenire vittima di sopraffazioni e bullismo.

Un bimbo timido e insicuro avrebbe giovamento da un diverso sviluppo della fiaba.
In Hansel e Gretel, Gretel piange e ha paura di tutto ed è Hansel che sempre la consola, le fa coraggio, prende le iniziative. Ma quando per Hansel non c’è più scampo è Gretel che inganna la strega, la brucia, libera il fratello e quando sulla strada del ritorno un grande fiume blocca loro la strada è lei a rivolgersi all’anatra chiedendo trasportarli dall’altra parte. Per questo la fiaba di Hansel e Gretel, così com'è senza alterazioni, non può che fare bene ad un bimbo timido e insicuro nonostante ciò che crea perplessità negli adulti.

Ma tornando al soldatino cos’accadrebbe se nella notte andasse sicuro dalla ballerina?
se gli riuscisse di dare una risposta decisa al troll,se urlasse per farsi ritrovare infischiandosene dell’uniforme, se trascinato dalle corrente pensasse “Sto vivendo qualcosa che i miei commilitoni chiusi nella scatola neanche s’immaginano!”, se precipitando pensasse “Accada quel che accada ne è valsa la pena!”, se rivedendo la ballerina piangesse e ridesse di gioia, vorrebbe la fiaba a gettarlo nel fuoco?
o da eroe col piombo trasformato in oro, il soldatino sposerebbe la ballerina, verrebbe acclamato re del castello ed insieme vivrebbero felice e contenti?

Divorato da un Pesce


Anche Pinocchio viene divorato da un pesce e poi riesce ad uscirne.
Collodi parla di Pesce-cane, è la Disney che s’è inventata la balena e ha fatto della storia un simpatico cartone animato mentre Pinocchio è per molti una fiaba massonica, e di fatto è densa di significati e contenuti esoterici.
Esser divorato da un pesce e poi salvarsi è un’esperienza presente persino nella Bibbia, nel libro di Giona, rappresenta vedere la morte in faccia e miracolosamente salvarsi, è nascere una seconda volta, come da un secondo ventre materno.

Pinocchio, una volta uscito dal ventre del Pesce-cane è completamente cambiato,
si fa carico del padre, manifesta gratitudine, assume responsabilità, accetta un lavoro duro e nel tempo libero ne fa un altro, trova il modo di studiare, rinuncia ai soldi che ha messo da parte per vestito quando scopre che la fata ha bisogno di cure e decide di lavorare ancora di più per provvedere anche a lei.
Pensa e agisce in modo diverso, per questo diviene un bambino vero che potrà crescere, progredire ancora, diventare un uomo "vero".
Il soldatino tratto in salvo dal ventre del pesce si ritrova nella casa di partenza e riprende a guardare la ballerina, immobile, senza dire una sola parola, esattamente come prima.

”Stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva”,
come? ancora si preoccupa di fare brutta figura?
Non è cambiato nulla? è stato tutto inutile? nessuna crescita? nulla? 
A questo punto gli dei o la vita con lui non hanno scelta!

Se si fossero sposati, come sarebbe andata a finire la loro storia?


Il soldatino crede che come a lui alla ballerina manchi una gamba e allora pensa “quella sarebbe la sposa per me!”, pur rendendosi conto di non avere nulla da offrirle,
con queste premesse mi chiedo: se si fossero sposati, come sarebbe andata a finire la loro storia?
Il soldatino si sarebbe sentito non all'altezza e la ballerina delusa? Rancori e incomprensioni avrebbero inacidito la loro esistenza?

Si dice che l’amore è cieco , ma proprio perché impedisce di vedere i difetti, l’amore permette di vedere davvero l’altro senza lasciarsi confondere da cose senza importanza.
L’innamorato vede solo il bello dell’altro.
Sia in “La fanciulla senza mani” che in “Dognipelo”, al re non importa nulla di ciò che in lei è imperfetto, vede solo bellezza, decide di sposarla, averla accanto come regina. 
Il soldatino invece vede nella ballerina un’imperfezione, che tra l’altro non c’è, e su questa basa il suo amore che in qualche modo è un accontentarsi.


Si dice che nell’uomo ci sia una parte femminile e che ci sia una parte maschile nella donna.
Si dice che innamorarsi sia vedere quella parte di sé rispecchiata nell’altro e che quando poi ci si accorge che l’altro non è così, l'innamoramento passa, la storia finisce.
Oppure può cominciare davvero
.
Il soldatino nella ballerina vede un'imperfezione che rispecchia la propria.
Ma proprio perché senza gamba non era stato chiuso con gli altri nella scatola per la notte ed al mattino era stato messo accanto alla finestra,proprio perché senza gamba anziché il chiuso della scatola aveva avuto la sua avventura.
L'“imperfezione” avrebbe potuto essere la sua fortuna
.
Purtroppo però l'avventura lui non l'ha vissuta con eccitazione, baldanza, passione, gusto della scoperta, non ha saputo prendere gli eventi come regali della vita.

e non ha saputo vedere riflessa nella ballerina, quindi scoprire, quella parte di sé che non può essere che perfetta.


Perchè NON racconterei MAI Andersen ad un bambino: "La Piccola Fiammiferaia"


Ci sono fiabe che non andrebbero mai raccontate ai bambini.


Ciò che intendo probabilmente è l’esatto contrario di quel che si pensa di solito, perché intendo dire:

Le fiabe tradizionali che parlano di teste mozzate, mostri, punizioni impietose non fanno alcun male, anzi scrivo riflessioni e considerazioni proprio per cercare di convincere a raccontarle così come sono senza tagli o alterazioni,

ci sono invece fiabe dolci e delicate che non andrebbero mai raccontate ai bambini e mi riferisco ad alcune delle più famose di Andersen, come “La piccola fiammiferaia”, “Il soldatino di piombo”, “La Sirenetta”.


Ovviamente non sto parlando del romanzetto rosa in cui la Disney trasformato “La Sirenetta”, né del “Toy story” che ha tirato fuori da “Il soldatino di piombo”, né del cartone animato giapponese ispirato a “La piccola fiammiferaia”.

Mi riferisco a quel che ha scritto Andersen. Vera poesia, fiabe bellissime, che vengono proposte ai bambini senza far caso alle idee che trasmettono. 

Comincio parlando de “La piccola fiammiferaia”, la riassumo in breve:


Nel gelo della notte di San Silvestro una povera bimba venditrice di fiammiferi non ha il coraggio di tornare a casa perché non è riuscita a vendere nulla e la riempirebbero di botte.
Ignorata dalla gente che festeggia il Natale, si accuccia in un angolo della strada, cerca di scaldarsi accendendo un fiammifero dopo l’altro e si consola immaginando cibo, una casa calda e accogliente, la nonna morta, che è la sola persona ad averle voluto un po’ di bene, a cui chiede di portarla con sé. E si lascia morire.

Qualsiasi bambino ha paura della solitudine, d’essere abbandonato, di non essere amato. Facendo leva su queste paure questa fiaba lo coinvolge emotivamente per poi, quando è al colmo dell'impressionabilità, presentargli la morte come unica conclusione.
Non offre altre possibilità. 

Ogni fiaba rappresenta un’esperienza che può essere vissuta da chiunque indipendentemente dall’età e dall'epoca.
"La Piccola Fiammiferaia" è l’esperienza della solitudine peggiore, di quando si sa che di noi non importa nulla a nessuno e non ci resta che rannicchiarci in un angolo ignorati da tutti.
La vive il venditore che ha mancato il budget; l’artigiano che si vede chiudere i fidi e pignorare le macchine; il disoccupato che subisce l’ennesimo rifiuto e non ha il coraggio di tornare a casa.
“La Piccola Fiammiferaia” racconta quest’esperienza e traccia l’idea che non ci sia altro da fare che lasciarsi morire.

Una fiaba che si conclude con rassegnazione e morte, e per di più è bella e commovente, lascia un messaggio distruttivo che si radica nel profondo.
Le fiabe rappresentano esperienze e danno modelli, costruiscono qualcosa dentro di noi, nell'intimo. Quando si vive un momento di sconforto e difficoltà, se manca la convinzione che sia possibile trovare una soluzione, peggio se c'è l'idea della rinuncia e della morte, com'è possibile farcela?

Non a caso in questo blog ho presentato "La pappa dolce" che parla di miseria e fame, "L'oca d'oro" che parla di emarginazione, "Le tre filatrici" che parla dell'incapacità di soddisfare i compiti richiesti.
Proprio perché possono aiutare nei momenti peggiori, ho riportato i testi corredandoli con i miei acquarelli e con le mie riflessioni.
("Riflessioni e considerazioni" sono rivolte agli adulti, NON ai bambini! Per il bambino c'è la fiaba. La magia non va rovinata con aggiunte, spiegazioni, adattamenti.).
Non illustro e non inserisco il testo completo né de "La piccola fiammiferaia" né delle altre fiabe di Andersen di cui parlerò nei prossimi post, prorpio perchè non vorrei mai che queste arrivassero ai bambini.

Ci sono fiabe della tradizione popolare che affrontano temi più pesanti di quelli de “La piccola fiammiferaia”. Molte hanno portato fino a noi argomenti che per la storia ufficiale sono tabu, cose vergognose che i cronisti dell’Europa medioevale hanno documentato come fenomeni diffusi, orrori quali l’abbandono dei minori, l’infanticidio e persino il cannibalismo (in particolare durante la grande carestia 1315-1317) che la storia è riuscita a nascondere. Ma le fiabe hanno continuato a raccontarli:
“Hansel e Gretel” parla d’abbandono dei minori e cannibalismo, “Cappuccetto Rosso” di cannibalismo e pedofilia,“Dognipelo” parla d’incesto.

Queste ed altre fiabe hanno continuato a raccontare che ci sono bambini a cui capitano cose orribili. Però hanno continuato a dire che alla fine Cappuccetto Rosso ha la meglio sul lupo, che Hansel e Gretel bruciano la strega e tornano a casa carichi d’oro, che Dognipelo alla fine regna da regina, felice accanto al suo re.

Con i loro lieti fini fanno in modo di costruire la convinzione profonda che, per quanto spaventose e buie possano essere le situazioni, la conclusione può essere bella. Per questo vanno raccontare.

Del resto perché considerare più vere le storie che vanno a finir male?
Nella realtà ci sono bambini poveri e orfani diventati ricchissimi. 
Leonardo Del Vecchio, il patron di Luxottica, era un martinitt (ovvero un orfanello di Milano), così come era un martinitt il grande Angelo Rizzoli. Quindi perché dovrebbe essere più vera "La Piccola Fiammiferaia" col suo pessimismo distruttivo delle coraggiosissime "Hansel e Gretel", "Cappuccetto Rosso", "Dognipelo"?
E perché raccontare una fiaba che inculca rassegnazione e pessimismo,  quando ce ne sono altre che, senza cadere nel sentimentalismo fine a se stesso, raccontano cose tremende ma si concludono con "e vissero felici e contenti"?

Nel prossimo post continuerò con "Il soldatino di piombo"...

Chi, come e quando tirò fuori la storia del bacio?

Il principe ranocchio o Enrico di Ferro
The frog king or Iron Henry
El Rey Rana o Enrique el férreo
Le roi Grenouille ou Henri de Fer

Riflessioni e considerazioni (Chi, come e quando tirò fuori la storia del bacio?)

Baciare un ranocchio? uno di quei rospi viscidi!?

La principessa deve baciarlo così lui diventerà principe.
È questo che ci raccontano, vero?

Quante morali se lei lo bacia! 1a Morale: Bisogna saper andare oltre alle apparenze.
2a Morale: Quel che hai promesso devi mantenerlo.
3a Morale: Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno.
4a Morale: Grande è la potenza dell’amore di una donna SE la donna ama a prescindere, con abnegazione e sacrificio, senza egoismi.
ovvero
“Bella mia, Se lui non è un principe è colpa tua. Bacia il ranocchio!”
MA la principessa NON ha MAI BACIATO IL RANOCCHIO!

nella versione originale lei non lo bacia!
“La principessa andò in collera,
lo prese e lo gettò con tutte le sue forze contro la parete.”


Chi, come e quando tirò fuori la storia del bacio?

Come mai proprio la fiaba numero uno dei fratelli Grimm è stata completamente stravolta?

I Grimm la pubblicarono già nella loro prima raccolta di fiabe popolari nel 1812.
Annotarono anche versioni in cui la principessa decapita il ranocchio o gli brucia la pelle, ed una più mite in cui invece gli permette di dormire per tre notti sul suo cuscino.
Traducendo la fiaba per il pubblico inglese, nel 1823, Edgard Taylor ritenne più opportuno far dormire il ranocchio sul cuscino.

Come, quando, chi per la prima volta passò dal cuscino al bacio non è ben chiaro. Di certo era preferibile, con le suffragette che cominciavano ad alzar la cresta.

Rappresentazione del percorso di maturazione sessuale della donna?

Affascinanti le chiavi di lettura psicologiche da Freud in poi.

·    Il ranocchio, col suo essere prima girino, allude ai mutamenti fisici dell’adolescenza. Simboleggia anche il sesso maschile, vissuto da una vergine come viscido repellente e animalesco.
·    La troppa importanza data ad un giocattolo è rifiuto di crescere, immaturità.
·    La palla d’oro è il senso d’interezza che viene perso col passaggio alla pubertà.
·    L’acqua è “profonda e profonda” come le pulsioni.
·    La giusta maturazione, il passaggio da bambina a donna, avviene con la trasformazione del disgusto iniziale in desiderio.

Ovvero, dopo profonde elucubrazioni psicologiche, di fatto si torna al bacio.

Freud nacque nel 1856 e morì nel 1939,
Ersilia Bronzini Majno nacque nel 1859 e morì nel 1933.
Chi era costei? chi l’ha mai sentita nominare?

Rinfaccerò sempre Milano di non averle dedicato nemmeno una strada.
Rinfaccerò sempre ai milanesi l’ espressione di scherno: “Asilo Mariuccia”.
Non lo sanno ma continuano la cattiveria di chi urlava oscenità e lanciava sassi verso l’istituto voluto da Ersilia Bronzini Majno.

L’Asilo Mariuccia si occupava di bambine prostitute o violentate. Con coraggio, si sobbarcava problemi mai affrontati prima, tra errori e mancanza d'esperienza.
Nei suoi archivi ci sono storie con signori colti, intelligenti, eleganti, che s’eran tolti qualche voglia.
Alcune delle bambine avevano otto anni.
Pochissimi erano i casi in cui il tribunale riconosceva una qualche colpa all’uomo. In quei rari casi veniva calcolato quanto denaro dare al padre della bambina, eventualmente era lui che si doveva indennizzare.
Per legge e per convinzione la bambina era “corrotta e corruttrice”.

Va bè, ma quelle eran bambine che venivano da ambienti miseri e degradati, abbruttite e volgari di loro. Le sottili osservazioni di Freud si riferiscono a donne d’altro livello…figlie, mogli, sorelle di signori colti, intelligenti, eleganti.

Bacio?!

Racconto questa fiaba ogni volta che una donna viene a lamentarsi.

Da più di dieci anni ogni volta che un’amica viene a dirmi le mille e mille cose che lui non capisce e che lei non sopporta più, le racconto la versione autentica della fiaba.
"Hai due possibilità:
  1. tirare avanti cercando di a fartela andar bene, con qualche sfogo ogni tanto con qualcuno.
  2. fare chiarezza rischiando il tutto per tutto, correre il rischio di una frattura definitiva. Ovvero lanciarlo contro il muro come la Principessina. Se è un principe vedrai che l’incantesimo si rompe e avrai un principe."
    "E se invece è proprio solo un ranocchio?"
    "Che te ne fai di un ranocchio?!"

Mi è capitato di raccontarla anche a qualche amico venuto a confidarmi:
"Mi ha distrutto, non hai idea di quel che lei è arrivata a dirmi. Mi ha fatto a pezzi!"

"Tranquillo! ha semplicemente fatto come la principessina, anche se non conosce la versione autentica della fiaba. Non sei un ranocchio, mostrale che sei un principe, ora s’aspetta proprio di scoprire che sei un principe."

Fiaba per crisi di coppia allora? Pretesto per rivendicazioni femminili?
NO! Non è così poco!

La racconto anche all’amico che mi dice di trovarsi incastrato in una situazione insostenibile, di lavoro o d’altro. 
"Puoi fartela andar bene, trovare il modo.
Ma se proprio proprio la faccenda ti disgusta, se i bocconi non vanno giù, se senti che questa storia invade la tua esistenza, ti sta addosso, ti segue anche quando vai a dormire, allora sappi che la principessa
non baciò mai e poi mai
quello schifosissimo ranocchio!
Lo lanciò contro il muro."

Può cambiare la vita sapere chi è Enrico di Ferro?

Interpreti illustri liquidano la parte finale della fiaba del Principe ranocchio come un'aggiunta posticcia, un'altra storia.

Ma i fratelli Grimm,rigorosi com'erano nella ricerca, avrebbero lasciato qualcosa di arbitrario? l'avrebbero messo addirittura nel titolo? nella fiaba che decidevano di pubblicare come prima di tutte?

E se invece questa strana parte fosse importante? Tanto da doverla mettere nel titolo?

Ci ho pensato su con ordine.

Chi è davvero la principessa?

Di solito, piuttosto che gli uomini, non sono le donne a volere metter su casa? sposarsi, convivere, mangiare insieme, dormire insieme, condividere la quotidianità.

E quelli che picchiano non son forse gli uomini?

Sono questi i clichè o no?
Clichè che la fiaba però capovolge. Perchè?

Forse per suggerire che non sta affatto parlando di una donna.
La fiaba racconta la nostalgia di quando le nostre possibilità erano infinite, di quando era come se giocassimo con una palla d’oro, preziosa e perfetta.
Ma questa nostalgia la conoscono sia le donne che gli uomini.
Per tutti ad un certo punto le cose son cambiate, per tutti la palla d’oro è finita chissà dove.
Perchè dopo che il ranocchio la recupera la fiaba non ne parla più? Perchè?
Perchè ormai non importa. Il senso bambino di onnipotenza una volta perso è perso per sempre. Non si può più tornare ad essere quello che persino il sole ammirava.
C'è una parte in noi che ha nostalgia di quando poteva tutto e che ora vive con rammarico una quotidianità che non vuole. Quella parte di noi nella fiaba è la principessa.

Chi è davvero il ranocchio?

È forse il marito che dimentica di togliersi le scarpe quando entra in casa? la moglie che dà più importanza a questa piccola cosa che a ciò che conta? è il capo che assilla? il cliente rognoso? il vicino invadente?
Non si può decidere che sia questo o quello senza tener conto che c'è qualcosa di strano nel ranocchio: diventa principe proprio perché viene spiaccicato contro il muro.
Ed è ancora più strano che non sia neppure arrabbiato o sconvolto, anzi! ha addirittura “begli occhi ridenti”

Chi è il ranocchio?
Sappiamo che è capace di recuperare la palla ma non di correre, che è invadente e increscioso.
Chi è?
E se non fosse un altro?
Se fosse invece una parte di noi?
Quella che ci fa superare un esame, un colloquio, ci fa trovare un lavoro, ma in cambio, esigente e assillante, opprime la nostra quotidianità con impegni, doveri, sensi di colpa.
Se fosse la Ragione?
L’aspetto di noi che va bene alla società e alla famiglia che ci tiene lì a fare quel che gli altri si aspettano da noi, ci toglie il gusto di mangiare, di dormire, imbratta l'oro di ogni cosa, toglie senso alle nostre aspirazioni.
Nella fiaba delle tre filatrici, il lieto fine arriva grazie alla capacità d’esser riconoscente.
Ma una cosa è ricordarsi d’invitare qualcuno al proprio matrimonio, altra è sposarlo.
Cattiva, egoista, contraria ad ogni buon principio, così può apparire la principessa. Ma anche i buoni principi hanno un limite, anche la riconoscenza ha un limite, anche il rispetto della parola data ha un limite, anche il senso del dovere ha un limite.

Rassegnazione e rancore opprimono sia la principessa che il ranocchio.
La principessa, l'Anima, chiamiamola come vogliamo chiamarla, ad un certo punto esasperata non ne può più. In preda alla collera prende il ranocchio e lo getta con tutte le sue forze contro la parete.

Afferma se stessa finalmente!

Così facendo rompe il maleficio.
Non un rospo ripugnante ma il principe più bello che ci sia, questo si rivela essere la Ragione! Ed ha gli occhi ridenti.
Anima e Ragione in perfetta armonia, possono riposare insieme per poi insieme cominciare il viaggio verso il più magnifico dei regni.

Chi è Enrico di Ferro?

Di Enrico la fiaba non ne parla se non alla fine. È un servo di cui non ci si accorge.

Se il principe è la Ragione e la principessa l’Anima, chi sarà mai il servo?

Quale nome vien dato a quella parte di noi di che, senza che ce ne accorgiamo, fedelmente e puntualmente, fa tutto ciò che ci è indispensabile per vivere?
Chi, buon servo fedele, si occupa del nostro respirare, digerire, dello scorrere del sangue, del ricambio continuo delle cellule nel nostro corpo?
Nella fiaba si chiama Enrico di Ferro. 

Enrico ha sofferto troppo nel vedere il suo signore ridotto a meschino ranocchio.

L'afflizione era così grande che non gli era bastato piegar le labbra fino a riempirsi di rughe, stringere i pugni e curvare la schiena fino all’artrosi. Il dolore era arrivato al cuore e, perchè non scoppiasse d'angoscia, Enrico aveva dovuto cingerlo con cerchi d'oro.

Quante malattie può avere il cuore? Quante malattie può avere il corpo?
Ma ora il corpo può esser sano! Anima e Ragione procedono insieme sulla sua carrozza. I cerchi saltano via dal cuore.

“Enrico, qui va in pezzi la carrozza!”
“No, padrone, non è la carrozza,
Bensì un cerchio del mio cuore,
Ch’era immerso in gran dolore,
Quando dentro alla fontana
Tramutato foste in rana.”


Può cambiare la vita sapere chi è Enrico di Ferro?!

Il principe ranocchio o Enrico di Ferro
The frog king or Iron Henry
El Rey Rana o Enrique el férreo
Le roi Grenouille ou Henri de Fer

Riflessioni e considerazioni (Chi, come e quando tirò fuori la storia del bacio?)